L'altra Mykonos
di Francesca Carignani - Foto di Giovanni Rinaldi
di Francesca Carignani - Foto di Giovanni Rinaldi
Capita sempre, o quasi sempre, sulla nostra rotta. Ci passiamo vicino, restiamo nella sua "periferia" e poi troviamo sempre un buon motivo per fuggire via: Mykonos, l'emblema della Grecia insulare fin dagli anni '70. E l'emblema della Grecia che non è più Grecia, forse, fin dagli anni '70.
Anche stavolta, facciamo rotta su di lei, ci arriviamo, scopriamo un'angolo che di Mykonos ha poco, ragioniamo se cadere nella trappola del porto e poi, anche stavolta, scegliamo l'altrove. Basta arrivare al traverso di una baia che si chiama "Super Paradise" e ogni fantasia di dedicare del tempo a Mykonos si polverizza.
Verso Mykonos
Un bel bordo un po' traverso e un po' bolina con vento forte ci spinge da Ikaria a velocità media di quasi 9 nodi. Il canale tra Mykonos e l'isoletta di Dragonisi è meno cattivo dell'ultima volta che lo abbiamo passato e continuiamo a tutta vela fino alla rada di Kalo Livadi. Tornano le barche, tornano le case sulla terraferma, siamo nel punto chiave dello sviluppo turistico e tutto è maggiorato rispetto ad altrove. È un po' come quando leggi sull'e-book un libro e passi dal font M al font L o forse XL. Ecco, le barche a Mykonos crescono di dimensioni, rispetto al resto dell'Egeo, nella stessa maniera.
È una sorta di ghetto per ricchi, quest'isola. Vengono tutti qui, con le loro barche esagerate, i loro tender maggiorati, i loro equipaggi numerosi e griffati. Un'oasi di ricchezza e ostentazione nel mare della semplicità.
Il cielo di Mikonos
Ed è un gran bene questo. Mai concentrazione e isolamento mi sono apparsi più congeniali e funzionali alle mie esigenze. Rinunci a un miglio quadrato di terra colonizzato dal diverso e ti rimane tutto il resto a disposizione: un sacrificio che è gran poca cosa.
I MAP (Mykonos Addicted People) sono qui per farsi notare e non ha senso farsi notare se quelli intorno non sono simili a te. Ecco il 50 metri a vela, superare baie deserte e fermarsi solo dove trova il suo simile, possibilmente di stazza lievemente inferiore. Perché va bene il confronto, ma si preferisce sempre vincere. Di vele ce ne son poche, questo è il regno dei megayacht in cui il potere si misura dalla presenza o meno dell'elicottero a bordo. Nella nostra prima tappa, si affollano nel golfo di Kalo Livadi, tutti insieme in fondo alla rada orlata di bar sulla spiaggia che danno un senso a quei così che viaggiano a 30 nodi e che chiamano "tender".
Karapethi, sulla costa ovest del Golfo di Kalo Livadi
Vita facile la nostra: ci basta individuare l'azzurro vivo della piccola baia aperta di Karapethi, sulla costa ovest del Golfo: la strada non ci arriva, il ridosso è perfetto, i megayacht ci snobbano e ci sfilano davanti per andare al loro paradiso personale di ostentazione e confronto.
E noi qui - in prima fila ma a distanza sufficiente da considerarli piccoli puntini inoffensivi quando si dedicano alle manovre di ancoraggio - ci prendiamo questo fazzoletto dimenticato di Mykonos, reietto per la sua scarsa rumorosità e per un nome che è rimasto greco perché non aveva senso ribattezzarlo in maniera esotica.
L'altra Mykonos esiste, anche se ha uno spazio di autonomia molto limitato.
La spiaggia di sabbia d'oro di Karapethi, irragiungibile da terra.
Rinunciamo subito all'idea del porto e ci fermiamo una notte a Ornos, il grande golfo a Sud Ovest da cui il villaggio dista meno che dal marina. Volendo ci si può arrivare da qui, a piedi o con un motorino in affitto, sapendo che la barca all'ancora a Ornos starà probabilmente molto meglio che in un marina caratterizzato da traffico e viavai continuo. Volendo.
Noi invece scegliamo di continuare a tenerci distanti da un luogo che ha sicuramente smesso di essere autentico qualche decennio fa. So che il borgo resta un luogo suggestivo, curato e restaurato come è tipico delle cartoline ma appunto è una cartolina. Tutto intorno la terra dell'isola è deturpata da scheletri di case che saranno e che per ora sono solo ferite aperte che implorano vendetta all'indirizzo degli dei.
La profonda e edificata baia di Ornos
A Ornos risolvo, scendendo a terra con il nostro micro-tender, la mia autonomia tabagistica che stava iniziando pericolosamente ad andare in rosso.
Con questo unico obiettivo scendo a terra e sfilo lungo la spiaggia davanti a un mondo estraneo, fatto di veri e propri letti a baldacchino in riva al mare, di improbabili esotiche palme che sventolando la chioma al vento sembrano dire "Che diavolo ci faccio qui? Riportatemi a casa".
Il locale sulla spiaggia non ha nulla della taverna e ha invece molto dei caffè internazionali. Siamo nel regno della spersonalizzazione, dove la Grecia ha rinunciato a se stessa.
Salvataggio a Ornos
Mentre stiamo in rada, da una barca vicina parte un tender con un gruppetto di tedeschi a bordo, grandi e piccini, ben impaginati nei loro giubbotti di salvataggio.
È diretto alla riva, ma il motore si spegne e non accenna a riaccendersi. Il vento li porta rapidamente verso fuori, potrebbe essere una pessima esperienza ma la rada è piena di megayacht con i tender armati e pronti a percorrere in un lampo quei metri di distanza che trasformano, secondo dopo secondo, il tender naufrago in un puntino arancione in mezzo ai flutti e spintonato verso la non poi così vicina isola di Naxos.
P'acá y p'allá all'ancora a Karapethi
Ma i marinai sui megayacht restano a guardare, nessuno accenna un gesto di salvataggio, il mezzo superveloce è evidentemente lì per più nobili intenti.
È un attimo e sulle note immaginarie di "Arrivano i nostri" vedo il comandante di P'acá y p'allá issare il nostro eroico 2 metri di tender che sonnecchiava in coperta e tuffarlo in acqua, correre a poppa, staccare il motore dal pulpito e lanciarsi con esso sul natante. (nda: la mia cronaca conferisce un po' di elasticità e velocità al movimento che dal vero ha toni lievemente ridotti, sia chiaro, ma mi sia consentito). Mentre Tarzan parte impavidamente al salvataggio io - Jane - gli lancio una cima per il recupero del naufrago e orgogliosamente guardo il Davide dell'Egeo che fa il lavoro che avrebbe dovuto fare Golia, mentre i Golia assistono dal ponte superiore dello yacht armati di bicchiere di millesimato a quello che, forse, pensano sia uno spettacolo organizzato per loro. La sproporzione tra salvatore e salvato non fa che rendere più eroico il gesto. Abbiamo dato il nostro contributo a Mykonos, possiamo andare, fieri di aver invertito l'ordine dei fattori.
Resort tra le palme sulla costa sud di Mykonos
Abbandonando ancora una volta quest'isola, diretti a terre meno sfruttate, sfiliamo davanti al porto e incontriamo la grande contraddizione che rende paradossale l'ambiente dell'isola. Questo ghetto per ricchi da loro scelto come auto-esilio, ci apre alla vista un'altra mostruosità che pesa sulla bilancia in maniera contrapposta: 2 enormi navi crociera dell'altezza di 12 piani sono ancorate davanti alla cittadina.
L'espressione più popolare del turismo di massa invade il territorio degli esclusivi, si mischia ad esso, lo contamina e lascia infine il grande dubbio sulla capacità dei singoli di distinguersi uno dall'altro.
Una delle chiatte di recupero container
Immagino l'organizzazione che c'è dietro allo sbarco di quasi 5.000 dannati su questo lembo di terra: le scialuppe, i pullman, le bandiere colorate per distinguere i gruppi e le navi, l cappellini omaggio di una crociera fuori stagione comprata a poco prezzo o magari vinta in qualche concorso promozionale.
Immagino per le strade di Mykonos il mischiarsi di questi due generi umani, così lontani, eppure così vicini nel loro disperato bisogno di identificazione. Varrebbe la pena vederlo questo contrasto armonico, forse, ma non vale la pena viverlo. Combattiamo per un attimo una piccola battaglia che ha qualcosa di cinico, di reportistico, di passione per l'orrore. È solo un attimo, vince l'altrove. Tinos all'orizzonte ci sorride invitante. Nessuna delle barche intorno mette la prua da quella parte.
La portaconteiner Yusuf Çepnioğlu naufragata a Mykonos nel marzo '14 - @MediTelegraphWEB
Un ultimo contrasto a Mykonos dà finalmente un senso alle cose. Poco al largo della punta sud ovest, a far da sfondo a quei megayacht opulenti e tirati a lucido, ci sono due immense chiatte che da lontano sembrano discariche di immondizia. Quale affronto è questo, mi chiedo, una cosa mai vista prima in questo immenso piccolo mare che è l'Egeo. Il retropensiero è un calcolo su quanta immondizia sia capace di produrre questa isola violentata, è mai possibile?
Ma avvicinandoci, capiamo che non si tratta di rifiuti ma di resti di container, pezzi di lamiera accumulati su queste chiatte per toglierli dal mare e in attesa di essere trasportati altrove, riconvertiti, riciclati. E allora mi ricordo del naufragio, l'inverno scorso, di una grande portacontainer turca che compì l'affronto di andare a scogli proprio qui, nel pezzo di terra degli eletti, e vomitare in mare il suo carico così poco altisonante.
Luna piena a Mykonos
E rendo grazie agli dei dell'Olimpo, rinnovando la mia stima nella loro enorme saggezza. Solo qui poteva venir recuperato, in tempo veloce, il materiale disperso. In un altro punto dell'Egeo, remoto e mediaticamente sconosciuto, chi mai si sarebbe preoccupato di recuperare i container e di togliere quel pericolo semi-sommerso dal mare?
Tutto ha un perché in Egeo, a questo punto pure Mykonos
Di Francesca Carignani - Foto di Giovanni Rinaldi
Tratto dal blog di Francesca Carignani P'aca' y P'alla'
Francesca è autrice del libro: ROTTA VERSO L'EGEO Edizioni Il Frangente
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