Bianco, rosso, rosato o bollicine? Dipende dai gusti, l'importante è che non manchi. Scontato dirlo: un bicchiere di buon vino in barca è sempre un piacere.
Peccato che il mare riservi al vino più scherzi di quanti non faccia la terraferma: rollio e salsedine non sono infatti meno insidiosi dei nemici storici del vino, ossia aria, temperatura e luce. Ma insomma, quali vini scegliere e come meglio conservarli in barca?
C'è da dire che solo i grandi yacht, che hanno cantine climatizzate e dotate di sistemi che evitano lo 'scuotimento' delle bottiglie, possono permettersi una 'sistemazione confortevole' per i propri vini. Man mano che si scende di dimensioni, anche le soluzioni diventano più modeste, come le cantinette o i pozzetti frigo, che "vanno comunque benissimo, perchè la regola base è non stoccare il vino in barca per lungo tempo". Farà piacere saperlo, soprattutto perchè detto da un cultore della materia, Daniele Cernilli, tra i padri fondatori del Gambero Rosso, curatore della guida I Vini d'Italia e oggi direttore del frizzante webmagazine Doctor Wine.
Dicevamo appunto, la regola principe è non conservare il vino in barca, "non più di tre o quattro mesi, a meno che non sia proprio necessario". Bene inteso, è quindi inutile cercare soluzioni iper-tecnologiche in barca se il vino deve essere conservato per poco tempo. Piuttosto saranno sufficienti pochi accorgimenti, almeno quelli più basilari, come tenere le bottiglie lontane dalla luce o da fonti di calore. Ma se la temperatura non è quella ottimale di conservazione, la qualità del nostro vino non ne risentirà particolarmente se lo consumeremo in tempi brevi. Non scegliere vini da far invecchiare in barca, quindi. "Meglio lasciar perdere vini di chissà quale pregio o qualità, come champagne di annate particolari, ma variare spesso la dotazione della propria cantina, selezionado i vini che si ha intenzione di consumare nell'arco della crociera".
Tanto meglio, perchè il Mediterraneo è ricchissimo di zone "dove si produce dell'ottimo vino, che sono facilmente raggiungibili in crociera velica e fare rifornimeto di volta in volta oltre che buona cosa, è anche molto divertente". Parola di Cernilli, che ad uso crocierista snocciola un primo elenco: "penso al Priorat vicino Valencia, al Parades dietro Barcellona, la Sardegna con Bosa e Alghero e la Sicilia che è ricca di produzione di vino costiero", ma potremmo andare avanti anche con le coste greche e fino alla Turchia. Quanto basta, insomma, "per fare il giro del Mediterraneo andando per zone vinicole".
Ma torniamo alla conservazione del vino. E ai suoi nemici storici, tra cui in mare è la salsedine – perchè secca il tappo e lascia passare l'aria - a guadagnarsi la pole position. A questo esiste un rimedio che l'estero porta su un piatto d'argento e che l'Italia guarda ancora con occhio bieco: lo screw cap o tappo a vite, anche noto come Stelvin dal nome del brand più famoso. "Tanto per intenderci, in Australia e in Nuova Zelanda, il tappo di sughero è stato praticamente abbandonato. La stessa Germania, noto paese tradizionalista, sta cominciando a imbottigliare i propri vini con tappi a vite".
L'Italia, storia conosciuta, è il fanalino di coda. Lo screw cap è entrato in vigore con decreto ministeriale nell'agosto 2012, ma ad oggi le aziende che lo impiegano si contano quasi sulle dita di una mano. "C'è un po' di resistenza psicologica", nonostante gli indubbi vantaggi che il suo utilizzo comporta rispetto al caro ma obsoleto tappo di sughero. A cominciare dalla perfetta conservazione del vino, garantita dall'ottima tenuta in totale assenza di ossigeno, per finire con la comodità di apertura. "Lo screw cap è la soluzione ottimale in barca: pratico e sicuro perchè non ha bisogno di cavatappi, così si evita anche di ferirsi una mano, visto che la barca non è ferma come una sala di ristorante".
Detto tutto questo, la curiosità è spontanea. Ma Daniele Cernilli, che da oltre 40 anni degusta e giudica i vini di tutto il mondo, cosa porterebbe oggi in barca? "amo i vini con le bollicine, che (guarda caso, ndr) non hanno bisogno di cavatappi, in particolare i Trento Doc, che sono gli champagne italiani in senso stretto e ricordano un po' la montagna. Certo è quasi un paradosso andando in mare, ma può anche essere divertente".
Isabella Foderà
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