Ching Shih, spietata ''Piratessa''
di Fabrizio Fattori
di Fabrizio Fattori
Intorno alla vita e alle storie dei pirati si è sempre concentrata l’attenzione di tutti coloro che rimangono affascinati dalle avventure, dalla brutalità, dal mistero e dalle enormi ricchezze accumulate, specie se nascoste in remote isole e non sempre reperibili attraverso complicatissime mappe.
In questo mondo variegato dove i più noti personaggi ancora oggi fanno riecheggiare la loro memoria in racconti, film e serie televisive, spicca sicuramente la figura di Ching Shih (la vedova di Cheng), vissuta a cavallo del XVIII secolo che rappresenta quasi un unicum nella storia piratesca di tutti i secoli non solo per il fatto di essere donna (Piratessa ?) o di rappresentare uno sporadico caso di pirata morto nel proprio letto e non appeso al pennone della sua ammiraglia, ma per essere riuscita a controllare migliaia di uomini attraverso una ferrea disciplina che prevedeva per ogni mancanza una punizione compensativa, dalla fustigazione, al taglio delle orecchie, allo squartamento.
Ching Shih in azione, armata di spada
Forte della sua misera esperienza come prostituta nei bordelli di Canton, proteggeva le donne prese in ostaggio dalle mire dei suoi uomini, negando loro forse il più appetibile e storico bottino delle loro imprese. Lo stupro veniva condannato con la morte ma anche il rapporto consenziente prevedeva tale castigo anche per la donna, che veniva gettata in mare con una palla di cannone legata ai piedi.
L’incontro con il famoso pirata Cheng Yi che all’inizio dell’ottocento la catturò e ne fece la sua compagna, cambiò il corso della sua vita. In questa nuova ed emozionante realtà seppe dimostrare grandi abilità oltre a coraggio in battaglia. Combatteva, infatti con furore, impugnando due spade e divenne ben presto esempio di audacia e sprezzo del pericolo. Queste qualità ne fecero ben presto una leader naturale che, alla morte di Cheng Yi (1807) durante un tifone, la misero a capo di una enorme flotta (la Flotta dalla Bandiera Rossa)) di centinaia di navi e di un esercito di decine di migliaia di uomini, frutto, questo, di un’accorta politica di aggregazione di tutte le piccole e sparpagliate realtà piratesche presenti nel mar della Cina meridionale.
Molte giunche disponevano di cannoni, oltre a fumerie d’oppio nelle stive e costituivano una delle più potenti flotte di tutta la Cina, capace di resistere non solo alla marina cinese ma anche a coalizioni inglesi e francesi. Attraverso abbordaggi e cattura di navigli commerciali, ma anche attraverso l’imposizione di tasse ai villaggi costieri da Macao a Canton, in pochi anni vennero accumulate ingenti ricchezze la cui consapevolezza spinse Ching Shih ad accettare un’ amnistia proposta dall’imperatore. Tutti i pirati ebbero salva la vita e poterono conservare i tesori accumulati, alcuni entrarono a far parte della flotta imperiale, la “Vedova di Cheng” si ritirò e visse fino al 1844 gestendo una casa da gioco.
Fabrizio Fattori
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