<<A.La delimitazione del concetto di "aree scoperte" utilizzato dalla normativa sulla tassa per i rifiuti solidi urbani, invero, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente (che fonda la sua tesi, in particolare, sulla contiguità normativa, formulata a mò di endiadi, di dette "aree" ai "fabbricati"), non deve essere tratta dal (nè limitata al) dato, per così dire "solido" (certamente di più immediata percezione), di "suolo" (terraferma) ma dallo scopo, perseguito dalla norma, di individuare un presupposto giuridico della tassa stessa, ulteriore rispetto ai "fabbricati", tenuto conto delle finalità (pubblica igiene e salubrità), tutelate dal legislatore, di eliminare comunque tutti i rifiuti solidi (definibili "urbani") prodotti da insediamenti, permanenti e/o provvisori, di comunità umane. In tale prospettiva è agevole dovere intendere per "aree scoperte" costituenti "presupposto" della tassa de qua, tutte le estensioni (o superfici) spaziali comunque utilizzabili e concretamente utilizzate da una comunità umana, quindi a prescindere dal supporto (solido o liquido) di cui l'estensione stessa è composta, e, conseguentemente, dal mezzo (terrestre o navale) utilizzato per fruire di: quell'estensione: lo smaltimento dei rifiuti solidi, infatti, costituisce sempre un interesse pubblico (cfr.D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 2, per il quale "la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse" ) anche quando, quelli propriamente "urbani" siano prodotti da comunità umane che, utilizzando (con l'opportuno mezzo) uno spazio "liquido" e non "solido", producono quei rifiuti sul mezzo (natante) e debbono, per necessità, riversarli (o comunque lì riversano) sulla terraferma al momento della sosta nel porto, facendo così sorgere, a carico dell'ente territorialmente competente, l'obbligo di rimuoverli e di smaltirli. Sulla questione, quindi, va confermato il principio (reso in base alla definizione di rifiuti urbani di cui all'allora Vigente D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 2, comma 3, n. 1) - richiamato dal giudice di appello -, enunciato da questa Corte (Cass. Pen. 3, 15 novembre 1991), secondo il quale la legge, quando indica la provenienza da: "fabbricati", considera i rifiuti delle persone che li abitano per tipicizzare la qualità dei rifiuti, e così anche quando generalizza riferendosi ad altri insediamenti civili in genere non annette rilevanza nè al modo nè al tipo di insediamento, ma al tipo di rifiuti caratteristici della vita di una comunità di persone: da tanto consegue che ai fini della individuazione de, presupposto giuridico della tassa in questione non bisogna avere riguardo semplicemente alla natura (solida o liquida) del luogo, alla cui superficie la tassazione stessa viene soltanto commisurata, ma alla presenza di una comunità di persone (anche indipendentemente da una fissa dimora) in un dato spazio perchè quella comunità produce naturaliter rifiuti "urbani" che debbono essere smaltiti.
B. Il richiamo, operato dalla ricorrente, alla natura (oltre che agli effetti) del contratto di "ormeggio" (che assume stipulato con i diportisti) al fine di escludere (secondo motivo di ricorso) la sua soggezione alla tassa per i rifiuti prodotti dalla comunità dei diportisti utilizzatrice dello "specchio d'acqua", poi, non si rivela idoneo ad infirmare la contraria opinione espressa sul punto dal giudice del merito.
B.1. Questa Corte ( Cass. 3, 1 giugno 2004n. 10484; analogamente, Cass. un., 3 aprile 2007 n. 8224), invero, ha avvertito che il "contratto di ormeggio" (definito "atipico" perchè "non trova specifica regolamentazione nel codice civile o in quello della navigazione, che si limita a stabilire norme sulla professione di ormeggiatore"), pur "caratterizzato da una struttura minima essenziale, (in mancanza della quale non può dirsi realizzata la detta convenzione negoziale), consistente nella semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali con conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo", può "legittimamente estendersi anche ad altre prestazioni (sinallagmaticamente collegate al corrispettivo), quali la custodia del natante e/o quella delle cose in esso contenute, ed il relativo accertamento si esaurisce in un giudizio di merito che, adeguatamente motivato, non è censurabile in sede di legittimità (Cass. 02/08/2000, n. 10118;Cass. 21/10/1994, n. 8657)": tale contratto, nel primo caso ("semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali"), va "equiparato" al contratto di "deposito" (art. 1766 c.c.); nel secondo, invece, si dice che "presenta una sostanziale affinità con la locazione ed in particolare con la locazione del c.d. posto macchina".
B.2. Il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 63, comma 1, "la tassa è dovuta da coloro che occupano o detengono i locali o le aree scoperte di cui all'art. 62": da tale disposto si ricava che - salva, ovviamente, l'eventuale ricorrenza di una delle ipotesi di "esclusione" previste dall'art. 62 - il soggetto che occupa o detiene un'area scoperta, quando produttrice (per presunzione di legge) di rifiuti solidi urbani, è tenuto al pagamento della tassa per il solo fatto della detenzione od occupazione, indipendentemente dalla individuazione dell'effettivo produttore del rifiuto.
Alla luce di tale previsione, la sola stipulazione del contratto di "ormeggio" con il diportista (anche se, in ipotesi, equiparabile, per le concrete pattuizioni intervenute, ad un contratto di locazione e non di mero deposito) non è comunque idonea a sottrarre al "concedente" la detenzione dell'area concessa in uso alla controparte ed a trasferire, quindi, in capo a quest' ultima, l'obbligo tributario perchè quel contratto, per sua natura, si risolve sempre e solo nell'attribuzione al diportista del diritto di utilizzare lo spazio ed i servizi connessi e non sottrae in alcun modo quello stesso spazio alla detenzione del concedente, al pari di quanto avviene nella gestione dei campeggi o di attività ricettive.
C. L'eventuale (mancando, in proposito, il conferente accertamento fattuale da parte del giudice del merito ed essendo lo stesso accertamento, nel caso, necessario avendo il Comune negato la qualità) natura demaniale dello specchio d'acqua in questione, di poi, non costituisce comunque elemento idoneo ad escludere (per quanto riguarda la tassa oggetto della controversia) la potestas impositiva del Comune sulla sua estensione atteso che tale potestà, con il concorso delle condizioni di legge, potenzialmente si estende (argomentando delD.Lgs. n. 507 del 1993, art. 58, comma 1, allorchè contempla non solo il "centro urbano" ma anche le "frazioni" c.d. i "nuclei abitati" nonchè, comunque, le "zone del territorio comunale con insediamenti sparsi") a tutto il "territorio comunale". Ai fini della delimitazione di un "territorio" come "comunale", come noto, bisogna aver riguardo ai confini geografici dello stesso e non già alla natura od alla qualità dei beni immobili compresi nel perimetro di quei confini; per nozione scolastica, infatti, "tutto il territorio dello Statoo è ripartito (art. 114 Cost.) tra Regioni, Province e Comuni ("enti necessari... ad appartenenza coattivaa) per cui "ciascuna parte di esso scilicet: territorio dello Stato è normalmente ad un tempo elemento costitutivo dello Stato, di una Ragione, di una Provincia salvo che in Valle d'Aosta, ove non esistono province e di un Comunee: "lo stesso territorioo, quindi, "appartiene allo Stato, alla Regione, alla Provincia ed al Comunee, oltre che "al proprietarioo (pubblico o privato che sia): "potere d'imperio di ordine vario per gli enti territoriali; diritto dominicale per il proprietario.
La giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, 6, 21 settembre 2006 n. 5547 e giàTAR Toscana 20 settembre 1984 n. 1101), dal suo canto, pur avendo escluso "l'incondizionata possibilità che gli strumenti urbanistici regolino i beni del demanio marittimoo, ha comunque affermato che "non è possibile sottrarre completamente alla disciplina urbanistica i terreni in esso rientranti" perchè "in tema di costruzioni edilizie nell'ambito del demanio marittimo, l'ordinamento giuridico non prevede alcuna deroga alla distribuzione delle attribuzioni e delle competenze, in quanto non sottrae l'esercizio del potere urbanistico - edilizio alla competenza comunale sui terreni demaniali marittimi, nè alla competente autorità statale l'esercizio del potere demaniale marittimo destinato a soddisfare gli interessi pubblici relativi agli usi del mare nonchè a perseguire speciali interessi pubblici ad esso inerenti".
La oggettiva diversità degli interessi perseguiti dall'ente cui il bene demaniale appartiene da quelli, propriamente igienico sanitari, affidati alle cure dell'ente comunale (al quale la legge impone di provvedere alla raccolta ed al successivo smaltimento dei rifiuti solidi urbani prodotti sul suo territorio), in una con l'inesistenza di una qualche deroga apposita, evidenziano l'irrilevanza della natura demaniale del bene anche ai fini della tassa de qua.
Siffatta irrilevanza, peraltro, trova conferma nella previsione delD.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, laddove (comma 2) tal norma indica, quali gruppi tariffari al regolamentare, alla lett. a), "locali ed aree adibiti a musei, archivi, biblioteche", e, alla lett. b), l'"utilizzazione" di "aree ricreativo - turistiche, quali campeggi, stabilimenti balneari ...": per tali disposizioni, quindi, i locali e le aree dette sono soggetti alla tassa a prescindere dalla demanialità - necessaria (art. 822 c.c., comma 1) nel caso degli "stabilimenti balneari" costruiti sulla spiaggia del mare, quindi su di un bene del demanio marittimo, od eventuale (art. 822 c.c., comma 2, e art.824 c.c.) per le "raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche" collocate in "immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia" appartenenti allo stato o ad una provincia o ad un comune - del bene utilizzato.
Nessuna norma, infine, esclude oggettivamente dalla tassa de qua la "detenzione" o l'"occupazione" di "immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia" appartenenti allo Stato o ad una provincia o ad un comune, quando concessi in uso a terzi per fini privati (abitativi e non).
In definitiva deve affermarsi che la natura demaniale di un bene concesso in uso a privati è, in sè, del tutto irrilevante ai fini dell'assoggettamento della relativa area, se produttiva di rifiuti, solidi urbani, alla tassa comunale concernente la raccolta e lo smaltimento di quei rifiuti.
D. La doglianza formulata con il quarto motivo di ricorso (per la quale i rifiuti, in quanto derivanti dall'esercizio di una "attività di servizioo, dovrebbero, essere considerati "speciali") è inammissibile perchè nuova.
Della sottoposizione della relativa questione all'esame del giudice del merito, invero, non vi è traccia nella sentenza - impugnata nè, come altrimenti, necessario, la ricorrente denunzia alcun vizio di attività (error in procedendoex art. 112 c.p.c.) sulla stessa.
La doglianza deve essere considerata nuova perchè non investe l'interpretazione di una norma di legge comunque sottesa alla decisione impugnata nè evidenzia una eccezione alla sottoposizione a tassazione dello "specchio d'acqua", affermata dalla Commissione Tributaria Regionale, rilevabile d'ufficio dal giudice.
In proposito è sufficiente ricordare ( Cass. trib.: 2 settembre 2004 n. 17703; 5 agosto 2004 n. 15083; 1. luglio 2004 n. 12084) e ribadire che non essendo "la produzione" di "rifiuti speciali, tossici e nocivi" considerata dalla legge "causa di esclusione dall'imposta" (in quanto "l'art. 62, comma 3, pone soltanto la regola di non conteggiare nella determinazione della superficie tassabile le aree nelle quali, di norma, si producono rifiuti di tale tipo") - "incombe all'iniziativa dell'impresa produttrice di rifiuti non urbani o a questi non assimilali l'onere di fornire all'amministrazione comunale i dati precisi per delimitare le zone che non concorrono a determinare la complessiva superficie imponibile", atteso che "l'operatività della presunzione deve essere vinta, anzitutto, dalle informazioni e dai documenti fornite dall'impresa produttrice", cioè da "adempimenti che non costituiscono soltanto un onere per ottenere V esclusione (totale o parziale) di una parte delle aree dalla superficie imponibile, ma un obbligo che grava sull'impresa, per quanto attiene ai rifiuti speciali, per esigenze di tutela sanitaria e di protezione dell'ambiente".
"Costituendo", inoltre ed infine, "tali esenzioni un'eccezione alla regola generale di assoggettamento alla tassa di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale in cui il servizio di raccolta è istituito ed attivato", "l'onere della prova circa l'esistenza e la delimitazione delle superfici per le quali il tributo non è dovuto grava su chi ritiene di avere diritto all'esenzione e non sull'amministrazione del comune (cfr.Cass. sez. 5, sent. 2 settembre 2002, n. 12749)".
E. L'"erroneità del computo della superficie d'acqua sulla quale applicare la tassa, come proposta e sostenuta con l'ultimo motivo di ricorso, infine, non ha fondamento.In primo luogo deve escludersi che sulla questione del "quantum debeatur" la Commissione Tributaria Regionale sia incorsa nel denunziato vizio di omessa pronuncia atteso che quel giudice, con la totale conferma dell'atto impositivo, ha affermato, in maniera non equivoca, la correttezza dell'operato del Comune circa la misura della superficie da considerare ai fini della determinazione di detto "quantum". In questa conferma, peraltro, non si rinviene neppure la prospettata, ma non meglio illustrata, violazione del "combinato disposto delD.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62 (commi 1 e 2) e art. 65 in quanto la superficie che tali norme impongono di considerare ai fini della determinazione della tassa concretamente dovuta secondo il sistema di cui dell'art. 65, prima parte del comma 1, detto (ovverosia "in base alla quantità e qualità medie ordinarie per unità di superfici imponibili dei rifiuti solidi urbani ... producibili... per il tipo d'uso"), è sempre quella, complessivamente considerata, occupata o detenuta e non già la sola parte eventualmente utilizzata in un dato momento: le norme, infatti, per ovvie ragioni di oggettiva predeterminatezza del presupposto impositivo, impongono di considerare l'intera superficie potenzialmente produttiva di rifiuti; la media quantitativa e qualitativa dei rifiuti "producibili" per unità di superficie, invece, vale solo ai fini di determinare l'entità astratta della unità di tassa dovuta per ogni unità di superficie.
Si consideri, comunque, che la tassa in esame, per l'art. 64 del D.Lgs. n. 507 del 1993" è corrisposta in base a tariffa" per cui l'ammontare dovuto è dato dal prodotto del costo unitario della specifica voce tariffaria per la superficie complessiva occupata o detenuta e, pertanto, esclusa (perchè non dedotta) qualsiasi violazione di norme regolamentari, la doglianza si risolve in una carente (comunque manchevole) impugnazione della norma tariffaria del regolamento comunale concretamente applicata.
E' appena il caso, in fine, di osservare che la (eventuale) mancata occupazione (di fatto), anche se temporale, di tutto lo spazio acqueo in concessione da parte di natanti equivale, ai fini della tassa de qua, in tutto e per tutto, alla situazione data dalla mancata occupazione di stanze di albergo o di posti di campeggio da parte degli utenti delle relative strutture: la concreta utilizzazione, ad opera dei diportisti, solo di parte di tutto lo spazio acqueo in concessione, infatti, analogamente alle struttura alberghiera ed alle aree adibite a campeggio per i loro gestori, non esclude il permanere della detenzione in capo al concessionario comunque dell'intera superficie dell'area concessa (considerato il permanere dello ius escludendo alios del concessionario gestore), con conseguente persistenza del presupposto legale sufficiente per affermare l'integrale debenza della tassa de qua da parte del concessionario stesso.>>
(Così Cassazione civ. sez. trib. 18 febbraio 2009 n.3829)
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