Emilio Salgàri, il padre sfortunato di Sandokan
Scrittore di romanzi d'avventura
Scrittore di romanzi d'avventura
Emilio Carlo Giuseppe Maria Salgàri (Verona, 21 agosto 1862 - Torino, 25 aprile 1911) è stato uno scrittore italiano di romanzi d'avventura molto popolari. Autore straordinariamente prolifico, è ricordato soprattutto per essere il "padre" di Sandokan, del ciclo dei pirati della Malesia e quello dei corsari delle Antille.
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Emilio Salgàri |
Scrisse anche romanzi storici, come Cartagine in fiamme, e diverse storie fantastiche, come Le meraviglie del Duemila in cui prefigura la società attuale a distanza di un secolo, ed è considerato uno dei precursori della fantascienza in Italia e in particolare membro del filone del romanzo scientifico.
Molte sue opere hanno avuto trasposizioni cinematografiche e televisive.
I primi anni
Nacque a Verona nel 1862 in una famiglia di piccoli commercianti, da madre veneziana, Luigia Gradara, e padre veronese, Luigi Salgàri, commerciante di tessuti presso Porta Borsari a Verona.
Crebbe poi in Valpolicella, nel comune di Negrar, in frazione Tomenighe di Sotto, poi abbandonata per trasferirsi nell'attuale "Cà Salgàri".
Cà Salgàri
A partire dal 1878 studiò al Regio Istituto Tecnico e Nautico "Paolo Sarpi" di Venezia, ma non arrivò mai ad essere capitano di marina come avrebbe voluto. Abbandonati gli studi al secondo corso del 1881 tornò a Verona per intraprendere l'attività giornalistica.
Esordi
Il suo primo lavoro scritto fu un racconto in quattro puntate, I selvaggi della Papuasia, scritto all'età di vent'anni e pubblicato sul settimanale milanese La Valigia.
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La copertina di Le tigri di Mompracem |
A partire dal 1883, riscosse un notevole successo con il romanzo Le tigri di Mompracem, pubblicato a puntate sul giornale veronese La nuova Arena, ma non ne ebbe alcun ritorno economico significativo.
Tuttavia, nel medesimo anno, divenne redattore del giornale stesso. Svolse un'intensa attività con gli pseudonimi Ammiragliador ed Emilius, pubblicando popolari romanzi d'appendice, tra cui Le tigri della Malesia. Due anni dopo diventò redattore de L'Arena. Il 25 settembre 1885 arrivò anche a sfidare a duello un collega del quotidiano rivale L'Adige.
Nel 1883, tra il 15 settembre e il 12 ottobre, pubblicò a puntate Tay-See (riedito poi in volume col titolo La Rosa del Dong-Giang nel 1897).
L'anno seguente pubblicò invece il suo "primo" romanzo, La favorita del Mahdi, scritto otto anni prima.
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La moglie Ida Peruzzi |
Nel 1887 morì la madre, mentre il 27 novembre 1889 vi fu il suicidio del padre: credendosi malato di una malattia incurabile, Luigi Salgàri si gettò dalla finestra della casa di alcuni parenti.
Qualche anno dopo, il 30 gennaio 1892, Emilio sposò Ida Peruzzi, un'attrice di teatro.
Dopo la nascita della figlia primogenita Fatima, i Salgàri decisero di trasferirsi in Piemonte, dove Emilio aveva trovato un contratto con l'editore Speirani.
Stabilitisi inizialmente a Ivrea nel 1894, vissero poi nella quiete canavesana delle case di Piazza Pinelli a Cuorgnè e della vicina Alpette.
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La famiglia Salgàri |
Dal 1898 la famiglia si trasferì definitivamente in Corso Casale, 205 a Torino. Da qui Salgàri poteva facilmente raggiungere in tram la Biblioteca Civica Centrale, dove trovava mappe e racconti di viaggi esotici che costituivano la base e lo spunto per le sue storie. Tra il 1892 e il 1898 pubblicò circa una trentina di opere.
Nel solo triennio 1894-1896, sempre con Speirani, pubblicò ben 5 titoli: Il tesoro del Presidente del Paraguay, Le novelle marinaresche di Mastro Catrame, Il re della montagna, Attraverso l'Atlantico in pallone e I naufragatori dell'Oregon. Il motivo di tutto questo lavoro erano i debiti che Salgàri continuava ad accumulare, ed infatti nel 1896 lo scrittore firmò un altro contratto con l'editore genovese Donath e nel 1906 anche con il torinese Bemporad.
Il 3 aprile 1897, su proposta della regina d'Italia Margherita di Savoia, Salgari venne insignito dalla Real Casa del titolo di "Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia"].
Ciò nonostante la sua situazione economica non migliorò, ed anzi a partire dal 1903, quando la moglie iniziò a dare segni di follia, si moltiplicarono i debiti che fu costretto a contrarre per poter pagare le cure. Nel 1910 la salute mentale della donna peggiorò ulteriormente e nel 1911 dovette entrare in manicomio.
L'ultima dimora di Emilio Salgàri a Torino in Corso Casale 205, con la targa commemorativ
Il declino
« A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna. »
(Emilio Salgàri)
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Salgàri con l'amico pittore Gamba |
I contratti obbligarono Salgàri a scrivere tre libri l'anno e per mantenere quei ritmi fu costretto a scrivere tre pagine al giorno. Scriveva fumando un centinaio di sigarette al giorno e bevendo vino marsala. Inoltre, dirigeva contemporaneamente un periodico di viaggi.
Più che un problema di sottocompensi in proporzione alla mole di lavoro il suo esaurimento nervoso fu dovuto soprattutto alla fatica e alla stanchezza. Non solo non guadagnava, ma non era nemmeno considerato dai circoli letterari dell'epoca, ultimo smacco alla sua dignità. All'amico pittore Gamba scriveva nel 1909:
« La professione dello scrittore dovrebbe essere piena di soddisfazioni morali e materiali. Io invece sono inchiodato al mio tavolo per molte ore al giorno ed alcune delle notte, e quando riposo sono in biblioteca per documentarmi. Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle, e subito spedire agli editori, senza aver avuto il tempo di rileggere e correggere. »
Finché i suoi nervi non cedettero. A ciò si aggiunse la nostalgia della moglie, ricoverata da mesi in manicomio. Stressato e umiliato, rimase da solo e con i figli da accudire. Sempre più depresso, nel 1909 tentò per la prima volta il suicidio, gettandosi sopra una spada, ma venne salvato in tempo.
Poi, l'ultima intervista, quella di un giornalista, tal Antonio Casulli, inviato de Il Mattino di Napoli, che incontrò Salgàri nel dicembre 1910, e che anni più tardi dichiarerà di aver respirato nella loro casa un'atmosfera come minimo triste e malinconica.
Emilio Salgàri in una rara foto d'epoca
Infine, la tragedia: la mattina di martedì 25 aprile del 1911 Salgàri lasciò sul tavolo tre lettere e uscì dalla sua casa prendendo il suo solito tram con in tasca un rasoio. Le lettere erano indirizzate ai figli, ai direttori di giornali, ai suoi editori.
Ai figli Omar, Nadir, Romero e Fatima scrisse:
« Sono un vinto: non vi lascio che 150 lire, più un credito di altre 600 che incasserete dalla signora... »
Li avvertiva poi dove avrebbero potuto trovare il suo cadavere, in uno dei "burroncelli" del bosco di Val San Martino, sopra la chiesetta della Madonna del Pilone, la zona collinare che sovrasta il corso Casale di Torino dove con la famiglia andava solitamente a fare i pic-nic; la zona esatta è quella del parco di Villa Rey, dove attualmente si trova l'omonimo campeggio. Ma a trovarlo, per caso, fu invece una lavandaia ventiseienne, andata nel bosco per fare legna, tal Luigia Quirico. Il corpo di Salgàri aveva la gola e il ventre squarciati in modo atroce. In mano stringeva ancora il rasoio.
Emilio Salgàri in un ritratto
Si uccise come avrebbe potuto uccidersi uno dei suoi personaggi, facendo harakiri, con gli occhi rivolti al sole che si leva. I suoi funerali avvennero al Parco del Valentino, ma passarono inosservati perché in quei giorni Torino era impegnata con l'imminente festa del 50° Anniversario dell'Unità d'Italia. La sua tomba, con dedica, fu traslata nel famedio del Cimitero Monumentale di Verona.
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Salgàri vestito da cacciatore |
Altre tragedie colpirono successivamente anche la moglie e i figli dello scrittore: nel 1914 Fatima, giovanissima, rimase vittima della tubercolosi, mentre nel 1922 la moglie Ida si spense in manicomio.
Nel 1931 fu di nuovo il suicidio la causa della morte dell'altro figlio, Romero; nel 1936, per le ferite di un tragico incidente in moto, perse poi la vita Nadir, tenente di complemento del Regio Esercito.
Un'intervista, conservata nelle teche di Rai Storia del 1957, ritrae l'ultimogenito figlio vivo Omar, che racconta alle telecamere della vita di suo padre. Tuttavia, anche Omar, in seguito, si suicidò, gettandosi dal secondo piano del suo alloggio nel 1963.
Produzione romanzesca
Salgàri deve la sua popolarità ad un'impressionante produzione romanzesca, con ottanta opere (più di 200 considerando anche i racconti) distinte in vari cicli avventurosi, con l'invenzione di personaggi di grande successo come Sandokan, Yanez de Gomera e il Corsaro Nero.
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James Brooke |
Tali personaggi risultano inseriti in un accurato contesto storico; la ricostruzione delle informazioni riguardanti le vicende istituzionali dei paesi da lui descritti non si limita, ad esempio, alla figura di James Brooke, il raja bianco di Sarawak.
Seri studi condotti dalla storica olandese Bianca Maria Gerlich (i cui lavori sono stati pubblicati da autorevoli riviste scientifiche quali Archipel nei Paesi Bassi e, in Italia, Oriente Moderno hanno infatti permesso di ricostruire le fonti storiche e geografiche lette e utilizzate nelle biblioteche di Verona dal grande scrittore di romanzi d'avventura.
La popolarità degli eroi salgariani è provata anche dalla grande diffusione di apocrifi: più di un centinaio, che editori privi di scrupoli gli attribuivano; i più famosi furono i cinque romanzi a firma congiunta Luigi Motta-Emilio Salgàri e quelli commissionati dagli eredi Nadir e Omar ad alcuni ghostwriter come Giovanni Bertinetti e Americo Greco.
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La copertina de Le caverne dei diamanti |
Egli stesso pubblicò con vari pseudonimi numerose opere, spinto da motivazioni diverse, la più nota delle quali fu l'urgenza di aggirare la clausola contrattuale di esclusiva che lo teneva legato all'editore Donath.
Tuttavia per lo stesso Donath pubblicò, sotto lo pseudonimo di Enrico Bertolini, tre romanzi nonché diversi racconti e testi di vario genere; in questo caso si sarebbe trattato di una precauzione utilizzata quando, incalzato da contratti e scadenze, lo scrittore usava più del dovuto elementi tratti da opere altrui (come nel caso di Le caverne dei diamanti, una libera versione del romanzo Le miniere di re Salomone di Henry Rider Haggard).
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