Qanat: un'ingegnosa realizzazione di tremila anni fa
di Fabrizio Fattori
di Fabrizio Fattori
I grandi fiumi hanno, nei millenni, contribuito enormemente allo sviluppo delle grandi civiltà, assicurando una risorsa primaria. Ma è stata solo la capacità dell’uomo di adattare l’ambiente circostante alle proprie necessità, anche nelle condizioni più ostili, che conferma la grande abilità umana nel risolvere ingegnosamente i propri bisogni.
Nelle aree più aride del territorio persiano, circa tremila anni fa, è stata perfezionata una tecnica che consente, in molti casi, tutt’oggi di mettere a disposizione delle popolazioni una quantità d’acqua sufficiente alle attività agricole, ai giardini e alla vita stessa.
La tecnica consiste nel reperire e trasportare nelle città e a volte direttamente nei luoghi di importante aggregazione, come cisterne collettive, templi o moschee, o direttamente nelle case più abbienti, acqua in abbondanza. La ricerca di falde acquifere, alla base di montagne o colline che costituiscono vasti bacini di raccolta, permette di attivare un sistema di canalizzazione, a volte lungo diverse decine di chilometri, caratterizzato da una serie di pozzi, scavati a distanza regolare di 20 o 30 metri uniti tra loro da un canale di collegamento sotterraneo, nel quale , con leggera pendenza, scorre l’acqua reperita alla base della falda acquifera montana.
Questo sistema consente di ridurre la dispersione d’acqua per evaporazione e mettere a disposizione delle comunità quanto necessario alla vita. Il lavoro di scavo e manutenzione, sebbene ben remunerato, era impegnativo e non privo di rischi e condotto da squadre di operai specializzati che si tramandavano le opportune conoscenze di padre in figlio, formando una casta di rilevante riconoscimento sociale.
A questa realizzazione spesso veniva associato un sistema di conservazione che permetteva alle riserve accumulate in grandi bacini di mantenere un alto livello di qualità.
Le cisterne venivano, infatti, collegate a delle “torri del vento” simili a quelle utilizzate nelle abitazioni e che consentivano attraverso un sistema forzato di circolazione d’aria di abbassare le temperature interne delle case anche di 10 gradi rispetto alla temperatura esterna.
Le “torri del vento” collegate alle cisterne permettevano di mantenere in movimento la massa d’acqua raffreddandone la superficie ed evitando la putredine. Un sistema di canali, dighe e sbarramenti consentiva l’utilizzo dell’acqua anche su base proporzionale in relazione alla collaborazione apportata alla realizzazione del qanat da parte delle varie comunità.
In altri casi ampie scalinate permettevano di raggiungere le cisterne o estrarre l’acqua direttamente dai pozzi, spesso con l’ausilio di animali da tiro data la notevole profondità degli stessi (fino a 275 metri), o attingere direttamente dalle fontane presenti nelle moschee.
Disegno di una cisterna con Torri del Vento
Un altro sistema di utilizzo delle acque così reperite venne messo a punto dagli ingegnosi persiani circa 2400 anni fa. Approfittare dei lunghi e gelidi inverni per ricavare ghiaccio da bacini poco profondi posti a nord e protetti dal sole e conservarlo in cisterne opportunamente raffreddate dall’aria dei qanat, permetteva di averne disponibilità durante i torridi mesi estivi.
Dopo la conquista araba della Persia questo ingegnoso sistema si diffuse in tutta l’area mediterranea, Sicilia e Spagna compresa e grazie alla colonizzazione anche nelle desolate terre peruviane.
Fabrizio Fattori
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