Mai sentito parlare di spiaggiamento? Non si tratta di una rilassante attività sportiva all’aperto, né di un piacevole gioco su Internet. Questo termine, che a prima vista fa pensare a tutt’altro, viene usato per indicare uno dei lavori più duri e pericolosi del mondo: la demolizione di navi effettuata sulle spiagge di India, Bangladesh e Pakistan, paesi in cui meccanismi di regolamentazione inadeguati consentono di ignorare le più elementari norme di sicurezza, la forza lavoro è a buon mercato e il rispetto dell’ambiente non esiste. Lavoratori non qualificati, spesso minorenni, tagliano a pezzi gli scafi delle navi, simili a bare, in cambio dell’equivalente di circa 3 dollari per una giornata lavorativa di 12-16 ore. Lo smantellamento consiste nel fare a pezzi navi giunte al termine del loro ciclo di vita per riciclarne i materiali.
L’UE ha la responsabilità morale di tutelare i diritti dei lavoratori anche al di fuori dell’Europa
“Dobbiamo mettere fine a questa pratica, attraverso la quale i più poveri sono non soltanto sfruttati ma anche esposti quotidianamente al rischio di perdere la vita. L’UE ha l’obbligo morale di difendere i diritti fondamentali dei lavoratori anche al di fuori del proprio territorio” dice Martin Siecker, relatore del parere di iniziativa del Comitato economico e sociale europeo (CESE) sul tema Lo smantellamento delle navi e la società del riciclaggio, adottato il 19 ottobre nella sessione plenaria del CESE.
Gli armatori dell’UE controllano circa il 40 % della flotta mercantile mondiale e sono responsabili di circa un terzo delle navi giunte al termine del loro ciclo di vita arenate in cantieri dell’Asia meridionale non conformi agli standard. Ogni anno circa 1 000 navi d'alto mare di grandi dimensioni sono vendute per essere demolite. Oltre due terzi di queste navi giunte al termine del loro ciclo di vita finiscono arenate sulle spiagge dei paesi menzionati più in alto.
Rendere più severa la normativa mediante strumenti economici
Il CESE chiede alla Commissione di introdurre una legislazione più rigorosa, che sancisca la responsabilità degli armatori e il loro dovere di smantellare le loro navi in maniera accettabile. Occorre anche applicare agli armatori il principio “chi inquina paga”, e l’UE ha in particolare la responsabilità di porre fine allo smantellamento delle navi effettuato in modo irresponsabile e inumano, osserva il CESE, chiedendo uno strumento economico che possa orientare gli sviluppi nella direzione auspicata. “Se l’Europa vuole che le sue navi vengano demolite in maniera responsabile, è logico che debba garantire che il costo di tale operazione sia integrato nei costi di esercizio delle navi” dice il correlatore del parere del CESE, Richard Adams.
Le ripercussioni per gli armatori sarebbero limitate. Secondo un recente studio pubblicato dalla Commissione europea e relativo a una licenza per il riciclaggio di navi, con un aumento di solo lo 0,5 % dei costi di gestione delle navi più piccole e del 2 % per le categorie di navi più grandi si potrebbe cambiare il comportamento del 42 % degli armatori, mentre un ulteriore aumento dei canoni di licenza, o una riduzione della proposta durata dell’accumulazione di capitale farebbe salire tale percentuale al 68 %, e a lungo termine il 97 % delle navi che operano nei porti europei verrebbe demolito secondo una procedura adeguata.
Vari precedenti tentativi di applicare la responsabilità dell’armatore per le navi al termine del ciclo di vita hanno avuto scarso successo, come la convenzione internazionale di Hong Kong per un riciclaggio delle navi sicuro e compatibile con l’ambiente e il suo Fondo fiduciario internazionale. Nell’UE la ricerca di una soluzione efficace è all’ordine del giorno da vari anni. Con il regolamento dell’UE relativo al riciclaggio delle navi, che entrerà in vigore entro il 2018, la Commissione ha stabilito norme ambiziose in materia di impianti di smantellamento delle navi, ma gli armatori possono facilmente aggirare il regolamento trasferendo la proprietà o semplicemente facendo battere alle loro navi la bandiera di un paese terzo. Tuttavia, con lo strumento finanziario proposto dal CESE, si potrebbe impedire agli armatori di sottrarsi alle loro responsabilità, perché qualora le loro navi non siano smantellate in un impianto riconosciuto dall’UE, essi non potranno recuperare i fondi versati e dovranno pagare un prezzo.
Una nuova industria per le aree marittime
Se, da un lato, la maggior parte delle attività di riciclaggio delle navi probabilmente continuerebbe a svolgersi in paesi a basso costo della manodopera, vi sarebbe almeno un miglioramento delle condizioni di lavoro e degli standard ambientali. Ma il riciclaggio sostenibile delle navi potrebbe anche risultare redditizio per l’Europa. Data la scarsità delle materie prime e i loro prezzi elevati e volatili, un’industria che si specializza nel riciclaggio di navi giunte al termine del loro ciclo di vita potrebbe generare crescita e occupazione, specialmente nelle aree marittime, e contribuire a ridurre le importazioni di materie prime.
Comitato economico e sociale europeo
Silvia Monika Aumair - Unità Stampa del CESE
E-mail: press@eesc.europa.eu
Leggi anche: Demolitori navali in India. Uno dei mestieri più pericolosi al mondo
Foto di copertina tratta da Rinnovabili.it
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